Entriamo nella Medina di Essaouira attraverso una porta nelle mura antiche, e subito tutte le schiene, ci fuggono, nel dedalo delle strade colorate.
Qui, lo sanno, la macchina fotografica è un demone che scambia persone per immagini.
Inseguo tutto, mi fermo, mi perdo, poi lascio stare, qui i colori esistono, si mischiano, si sfumano con la pioggia e il vento, mi abbandono a questa luce che mi scalda le spalle, talmente forte da definire con le sue ombre gli spazi.
Poi esco, e il porto mi schiaffeggia con i suoi odori, con le viscere dei pesci abbandonate a terra, con i gatti, che puzzano, e si sbranano per le teste, qui la morte c’è, non si nasconde, ha da insegnare più della vita.
E poi però, le scogliere, dove assaporare in silenzio la libertà appena conquistata, e l’oceano, con la sua spiaggia infinita che ti accoglie.
Lo guardo scomparire con le lacrime ancora rapprese agli angoli degli occhi mentre ripercorriamo la stessa strada fatta per arrivare.
Un accenno di deserto rovente dopo l’acqua e la brezza.
2016